Tra i contributi che un professionista iscritto al relativo Albo deve versare, ve ne sono solo alcuni deducibili, ma a determinate condizioni. Per quanto attiene i medici veterinari la nota protocollo 2006/65356 del 04/05/2006 specifica come comprendere in quali casi il contributo integrativo minimo è deducibile.
L’articolo 6, comma 1, dello Statuto dell’ENPAV prevede che i veterinari, iscritti al relativo Albo professionale, siano obbligatoriamente tenuti ad aderire alla cassa di previdenza e al versamento di contributi previdenziali e assistenziali. Tra questi contributi, particolare attenzione va posta al contributo integrativo minimo che si presenta ad una varietà di possibili scenari con conseguenze a livello fiscale. Vediamo quali.
Prima di tutto, è necessario chiarire in che cosa consiste tale versamento, che ogni iscritto all’Albo professionale dei medici veterinari è tenuto a corrispondere annualmente, ai sensi dell’art. 12, comma 3 della Legge n.136 del 12 aprile 1991. Esso è il risultato di una maggiorazione rispetto ai corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ed ha la peculiarità di essere ripetibile nei confronti del richiedente la prestazione; pertanto il professionista si rivale sul committente all’atto del pagamento. Dal momento che, quindi, il contributo non resta a carico del professionista e non concorre alla formazione del reddito di lavoro autonomo, lo stesso risulta essere indeducibile, così come confermato dalla Risoluzione n.69/E dell’Agenzia delle entrate del 18 maggio 2006.
Il contributo integrativo minimo quindi è da considerarsi sempre non deducibile?
La risposta è no. Il veterinario, iscritto all’Albo professionale, che realizza un volume d’affari limitato o pari a zero è comunque tenuto al versamento del contributo integrativo minimo all’ENPAV ma non ha modo di esercitare la rivalsa sul committente. In tale ipotesi, ed in virtù della natura obbligatoria dei contributi previdenziali, la quota non suscettibile di rivalsa è considerata deducibile, come previsto dalla Risoluzione n.25/E dell’Agenzia delle entrate del 3 marzo 2011.
Quanto sopra prospettato riguarda, però, solo l’ipotesi che l’attività venga svolta in regime di lavoro autonomo. Cosa cambia per i lavoratori dipendenti?
La Riforma dell’Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i veterinari (Legge n. 136 del 12 aprile 1991) ha aggiornato la disciplina limitando la deducibilità del contributo in questione. Una grande novità introdotta è stata l’iscrizione facoltativa all’ENPAV per i veterinari che esercitano esclusivamente attività di lavoro dipendente e si sono iscritti al relativo Albo professionale dopo il 27 aprile 1991. La ratio di questa scelta è esplicitata nella sentenza della Corte Costituzionale n. 88 del 1995 che chiarisce che il legislatore ha perseguito la finalità di «contenere il fenomeno della “doppia previdenza”» e di conseguenza anche di un doppio sistema contributivo.
Ciò significa che i veterinari che esercitano esclusivamente attività di lavoro dipendente e si sono iscritti all’Albo professionale dopo il 27 aprile 1991 hanno la facoltà di scegliere se aderire all’ENPAV, ma qualora optino per la partecipazione, il contributo integrativo minimo versato sarà indeducibile «in quanto versato facoltativamente ad una forma pensionistica diversa da quella obbligatoria di appartenenza» (nota protocollo 2006/65356 del 04/05/2006). Resta invece invariata la situazione per coloro che si sono iscritti all’Ente fino al 27 aprile 1991.
Riassumendo, il contributo integrativo minimo è deducibile se il veterinario:
- è lavoratore autonomo e nel limite della quota rimasta a suo carico (ad esempio, il neolaureato che ha superato l’esame di abilitazione e si è iscritto all’ENPAV ma non ha ancora esercitato la professione);
- è lavoratore dipendente e si è iscritto all’Ente entro il 27 aprile 1991.
È quindi importante analizzare caso per caso se vi siano o meno i presupposti per la deducibilità del contributo integrativo minimo.