La Cassazione con l’ordinanza n.10556 del 25/06/2012, ha enunciato il principio secondo il quale, nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate rettifichi la dichiarazione dei redditi mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, è il contribuente a dover dedurre rilievi specifici ai coefficienti applicati e provare la sussistenza delle condizioni che giustifichino l’esclusione della propria impresa dall’area dei soggetti cui è applicabile lo specifico standard scelto dall’Amministrazione. Secondo i giudici la procedura accertativa basata sull’applicazione di parametri e studi costituisce un sistema di presunzioni semplici. Affinché possano divenire qualificate, necessitano ex lege di essere integrate dai requisiti della gravità, precisione e concordanza al pari di tutte le altre presunzioni semplici. Tali caratteristiche non si realizzano automaticamente con il mero scostamento tra l’ammontare dei ricavi dichiarati rispetto agli standard considerati, in quanto i parametri devono essere adattati alla specifica attività esercitata dal contribuente, sulla scorta degli elementi forniti in concreto in esito all’instaurazione del contraddittorio, che va obbligatoriamente attivato, a pena di nullità. Alla luce di tale orientamento, che è in linea con la prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n.26635/2009), soltanto dopo l’avvio della fase di dialogo con il contribuente è possibile legittimare l’accertamento derivante dallo scostamento della dichiarazione del contribuente dai valori risultanti dagli studi di settore.