L’IMPORTANZA DELL’IDENTIFICAZIONE DELLA RESIDENZA FISCALE DEL LAVORATORE
Il concetto fondamentale per stabilire ove un soggetto sia tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti è quello di “residenza fiscale“. Si tratta della disposizione contenuta nell’articolo 02 comma 02 del DPR n.917/86 (TUIR). È in base a questa definizione, infatti, che trova applicazione la potestà impositiva a livello fiscale, di ogni Nazione. Sulla base dell’art. 02 del TUIR un soggetto si considera fiscalmente residente in Italia se verifica almeno uno dei seguenti requisiti (per la maggior parte del periodo di imposta):
- È iscritto all’anagrafe della popolazione residente (ANPR);
- Ha il proprio domicilio (ai sensi dell’articolo 43 del codice civile in Italia);
- Ha la propria residenza (ai sensi dell’articolo 43 del codice civile in Italia).
Il mantenimento della residenza fiscale in Italia, nonostante sia all’estero da oltre 183 giorni nell’anno e non si sia mai iscritto all’AIRE, comporta necessariamente l’obbligo di pagare le imposte sui redditi in Italia anche sui redditi prodotti all’estero.
Questo, infatti, è quanto prevede il principio della World Wide Taxation previsto dall’articolo n.03 del TUIR. Questo principio è uno dei pilastri fondamentali su cui si basa il nostro sistema fiscale, ma anche quello di molti dei sistemi fiscali dei Paesi Europei.
Il concetto è molto semplice. Un soggetto è tenuto a pagare le imposte (ovunque esse siano prodotte e/o percepite) in un unico Stato, quello di residenza. Questo, salvo poi ottenere un credito d’imposta per le eventuali altre imposte già pagate nei Paesi esteri ove i redditi sono stati percepiti (tassazione nello Stato della Fonte di reddito).
Riassumendo, quindi, un lavoratore Italiano che svolge la sua attività lavorativa e ha la sua vita all’estero, ha ugualmente l’obbligo del versamento delle imposte sul reddito anche in Italia. Questo, avviene in concomitanza della verifica di almeno uno dei seguenti requisiti:
- Essere residente in Italia, per almeno 183 giorni all’anno (la maggior parte dell’anno solare).
- Essere iscritto nelle anagrafi comunali della popolazione residente in Italia (quindi, non essere iscritto all’AIRE).
- Avere eletto nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio o la propria residenza, ai sensi dell’articolo n.43 del codice civile.
Tra queste fattispecie vi è una presunzione assoluta. Un soggetto iscritto all’anagrafe di un comune italiano per almeno 183 giorni (anche non consecutivi), in un anno, è considerato fiscalmente residente in Italia. Questo, indipendentemente dalla prova della sua presenza nel territorio del nostro Paese.
In base a quanto previsto dagli articoli n.02 e 03 del DPR n.917/86, i soggetti residenti in Italia che producono redditi all’estero sono tenuti al pagamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Questo non soltanto sui redditi prodotti in Italia, ma anche sui redditi prodotti all’estero, anche se questi ultimi hanno già scontato le imposte nel Paese estero in cui il reddito è stato prodotto. Per cui ogni anno si è obbligati a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia e dichiarare i redditi esteri.
LA TASSAZIONE DEI REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE PERCEPITI ALL’ESTERO
Se il lavoratore ha residenza fiscale in Italia e svolge attività lavorativa (come dipendente) all’estero, l’art.23 del TUIR prevede che tale reddito debba essere imponibile anche in Italia. In questo caso, viene a crearsi una fattispecie di doppia imposizione giuridica del reddito. Questo, in quanto la prestazione è resa all’estero, ed ivi tassata, ma il soggetto mantiene la residenza fiscale italiana (ed ai sensi dell’art.03 del TUIR anche in Italia).
Accanto a questa regola generale vi sono due disposizioni derogatorie che riguardano:
- L’applicazione delle retribuzioni convenzionali: la prestazione di lavoro deve essere svolta all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e deve essere svolta all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi;
- I lavoratori frontalieri: Il lavoro dipendente deve essere svolto in zone di frontiera o in altri Stati limitrofi in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e il lavoratore deve recarsi quotidianamente all’estero per lo svolgimento della prestazione.
Qualora non possano trovare applicazione queste due disposizioni si applica il regime ordinario sopra indicato.
CONVENZIONI CONTRO LE DOPPIE IMPOSIZIONI
Le disposizioni nazionali devono essere coordinate anche con le disposizioni presenti nelle convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia. In particolare, il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero è disciplinato dal modello OCSE di Convenzioni contro le doppie imposizioni all’art. 15 secondo il quale:
- In linea generale, il reddito di lavoro dipendente è tassato nello Stato dove l’attività viene svolta, oltre che, in base ai principi generali, nello Stato di residenza del lavoratore;
- È però prevista la tassazione nel solo Stato di residenza del lavoratore se questo soggiorna nell’altro Stato per un periodo che non oltrepassa i 183 giorni nel corso di un periodo di 12 mesi e contemporaneamente, le retribuzioni sono pagate da (o per conto di) un datore di lavoro non residente nello Stato dove viene svolta l’attività (e non sono pagate da una stabile organizzazione di cui il datore di lavoro dispone nello Stato in cui viene svolta l’attività).
Secondo l’Agenzia delle Entrate deve seguire questi criteri anche la tassazione del TFR (Risoluzione n.341/08, Risposte ad interpello n.343/E/2020 e n.460/E/2020).
LE RETRIBUZIONI CONVENZIONALI
Accanto alla regola generale legata alla tassazione ordinaria in Italia del reddito da lavoro dipendente prestato all’estero da parte di soggetto residente abbiamo detto che vi è una disciplina derogatoria legata alle retribuzioni convenzionali. Si tratta della disciplina dettata dall’art. n.51 co.08 del TUIR secondo il quale:
“il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del ministro del Lavoro e della previdenza sociale”
Si tratta di una norma agevolativa che consente di vedersi tassare non il reddito estero da lavoro dipendente effettivamente percepito ma, piuttosto, un reddito figurativo (solitamente più favorevole) previsto dalle tabelle ministeriali delle retribuzioni convenzionali. Questa disciplina, tuttavia, non è applicabile in tutti i casi. Infatti, prima di tutto occorre verificare che il settore economico in cui viene svolta l’attività da parte del lavoratore dipendente sia previsto nel Decreto ministeriale che determina le retribuzioni convenzionali. Si tratta di un Decreto che viene puntualmente pubblicato e aggiornato ogni anno. Inoltre, è necessario il rispetto di ulteriori specifici requisiti legati all’attività del lavoratore:
- Il lavoratore dipendente deve mantenere residenza fiscale in Italia;
- Svolgimento di lavoro dipendente all’estero in via continuativa che opera in uno dei settori di attività individuati nel nel decreto ministeriale sulle retribuzioni convenzionali;
- Il lavoro sia oggetto esclusivo del rapporto;
- Soggiorno all’estero per un periodo superiore a 183 giorni anche non consecutivi.
Qualora non trovi concreta applicazione una delle condizioni esposte non potrà trovare applicazione l’applicazione delle retribuzioni convenzionali per la tassazione del reddito. In questo caso il reddito deve essere dichiarato prendendo a riferimento la retribuzione effettivamente percepita (secondo il principio di “cassa“).
DISCIPLINA DEI LAVORATORI FRONTALIERI
Il concetto di lavoratore di frontiera (o frontaliere) definisce la figura del lavoratore occupato su un dato territorio di uno Stato, ma residente fiscalmente presso un diverso Paese. Luogo dove, teoricamente e praticamente, si reca quotidianamente o settimanalmente. Si tratta esclusivamente di quei soggetti residenti in Italia che prestano un’attività di lavoro dipendente, in via esclusiva e continuativa, a favore di un datore di lavoro estero e che quotidianamente si recano, appunto, all’estero in Paesi confinanti (Francia, Svizzera, Austria, Slovenia e San Marino) ovvero in Paesi limitrofi (sulla portata del termine “limitrofo” il Ministero fornisce la sola esemplificazione del Principato di Monaco).
Le caratteristiche quindi che i lavoratori frontalieri devono avere per qualificarsi come tali sono:
- La residenza sul territorio dello Stato;
- Il rapporto di lavoro dipendente con un datore di lavoro di uno Stato di confine o limitrofo, con l’Italia;
- La continuità e l’esclusività del rapporto di lavoro;
- La quotidianità dei suoi trasferimenti transfrontalieri verso e da, la sede di lavoro.
Da un punto di vista pratico, è previsto che, il reddito di lavoro dipendente prestato in zone di frontiera – che concorre a formare il reddito complessivo insieme ad altri eventuali redditi del contribuente – dovrà subire, a decorrere dal periodo d’imposta 2015, una decurtazione dell’importo pari ad euro 7.500 (c.d. franchigia di esenzione).
Sul punto, è bene rammentare che, la suddetta franchigia di esenzione (prevista in materia di Irpef), per i redditi di lavoro dipendente prestati all’estero (sempre in zona di frontiera) non deve essere parametrata alla durata del rapporto nell’anno, ma deve essere utilizzata in maniera fissa.
Più precisamente, ai fini dell’applicazione del regime di tassazione si deve:
- Individuare l’insieme di tutte le somme e valori corrisposti al soggetto in relazione al reddito di lavoro svolto come frontaliero;
- Operare la riduzione, da tale importo globale annuo, della franchigia di esenzione prevista in materia in materia di Irpef per i redditi di lavoro dipendente prestati all’estero in zona di frontiera (articolo 03 della Legge 23 dicembre 2000 n.388) che risulta quantificata ad euro 7.500;
- Applicare la tassazione Irpef su tale differenza, secondo le regole ordinarie del DPR n.917/86.
ATTENUAZIONE DELLA DOPPIA IMPOSIZIONE DEL REDDITO DA LAVORO DIPENDENTE ESTERO
Al fine di evitare questa doppia imposizione, conseguente al pagamento delle imposte sui redditi nel Paese di residenza del dichiarante oltre che nel Paese di produzione del reddito, sia la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Francia (firmata il 23/01/1992) sia il TUIR, prevedono un principio generale di divieto della doppia imposizione, per cui la stessa imposta non può essere applicata più volte su uno stesso reddito. In particolare sia l’art. 24 della Convenzione che l’art. 165 del TUIR prevedono la possibilità che le imposte pagate a titolo definitivo sui redditi prodotti all’estero siano ammesse in detrazione dall’imposta netta, scaturente dal conguaglio di fine anno o dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo, fino alla concorrenza della quota d’imposta italiana corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo.
PAGAMENTO DELLE IMPOSTE A TITOLO DEFINITIVO
A prima vista può sembrare complicato, ma in pratica l’articolo 165 del TUIR prevede, che il cittadino Italiano, che sostanzialmente svolge la sua vita all’estero ma continua ad essere iscritto all’anagrafe comunale della popolazione residente italiana, abbia l’obbligo di contribuire alle imposte sul reddito in Italia. Nella sua dichiarazione dei redditi italiana, avrà diritto ad un abbattimento dell’Irpef (l’imposta sui redditi) pari all’ammontare delle imposte pagate all’estero a titolo definitivo (non devono essere presi in considerazione gli acconti). Questo credito, comunque, non potrà mai superare la quota di Irpef relativa al reddito estero.
Ad esempio, se per il lavoro estero a Parigi si è percepito un reddito pari a 1.000 euro, la tassazione in Francia è pari al 20% ed in Italia pari al 23% si verserà all’Amministrazione finanziaria francese il 20% del reddito e all’Amministrazione finanziaria Italiana la sola differenza del 3%. In questo modo è correttamente applicato il principio di divieto di doppia imposizione di uno stesso reddito, previsto dall’articolo 165 del TUIR.
LAVORO ALL’ESTERO E TASSAZIONE DEI REDDITI: CONCLUSIONI
Prima di tutto è bene ricordare che è fondamentale consultare un Commercialista esperto in fiscalità internazionale, quando si intende trasferirsi all’estero per periodi maggiori di 6 mesi, sia per studio che per lavoro, in modo da pianificare correttamente gli adempimenti fiscali conseguenti onde evitare spiacevoli conseguenze future.
Non potendo tuttavia generalizzare in quanto ogni situazione personale ha le sue peculiarità, se un cittadino Italiano svolge la sua vita (personale e/o lavorativa) all’estero, per evitare il pagamento delle imposte sul reddito anche in Italia dovrebbe trasferire la propria residenza fiscale all’estero, iscrivendosi all’AIRE.
La questione però non si risolve così semplicemente, è necessario che il contribuente che intende trasferirsi all’estero sposti con se il c.d. “centro degli interessi vitali“, intendendo con tale locuzione sia i suoi principali interessi familiari e lavorativi.
Un soggetto che vuole trasferirsi all’estero lasciando la sua famiglia in Italia ovvero i suoi principali interessi economici in Italia, sarà probabilmente soggetto a controlli ed accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, per questo è bene pianificare con cura ed in anticipo questi aspetti legati alla normativa fiscale, evitando così lunghi e costosi contenziosi fiscali con l’Amministrazione finanziaria.